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mercoledì 25 aprile 2012

Il solare vuole 500 milioni in più d'incentivi, ma il problema è di strategia

13 Aprile 2012 Link Il Governo presenta i nuovi schemi di incentivazione per solare e rinnovabili elettriche Legambiente: le rinnovabili pesano solo per il 10% sulla bolletta elettrica Rinnovabili, le imprese italiane puntano all'estero per diventare industrie Sugli incentivi alle rinnovabili è sfida Passera-Clini Che il fotovoltaico stesse diventando un terreno sempre più minato era una certezza già da qualche settimana, con le levate di scudi delle associazioni contro le bozze del quinto Conto energia. La conferenza stampa del Gifi (Gruppo imprese fotovoltaiche italiane) a Milano, poche ore dopo l'uscita del provvedimento dalle stanze governative, ha riproposto il braccio di ferro tra lobby e istituzioni. "Batosta", "misure punitive", "atterraggio senza carrelli e a motori spenti" sono solo alcune delle definizioni date dal presidente del Gifi, Valerio Natalizia, allo schema del nuovo Conto energia pensato dall'esecutivo. Il punto di maggiore contestazione è il tetto massimo annuale di spesa per le installazioni solari: il Governo ha indicato 6,5 miliardi di euro, mentre le imprese vorrebbero 500 milioni in più. Sembrano pochi soldi, eppure Natalizia li ritiene indispensabili. «Le aziende sono già in difficoltà perché stanno pagando il decremento delle tariffe nel 2011 fissato dal quarto Conto energia. Così molte di queste rischiano di scomparire». Il fotovoltaico, ha proseguito il presidente, ha sbloccato investimenti per 40 miliardi di euro lo scorso anno, vanta 18.000 impiegati diretti e oltre 100.000 nell'indotto. Questa fonte rinnovabile, quindi, va vista come un'opportunità per il Paese piuttosto che come un semplice costo caricato sulle bollette di famiglie e imprese. «Possiamo discutere all'infinito se devono essere 6,5 miliardi o sette - ha commentato Arturo Lorenzoni dello Iefe-Bocconi -; invece bisogna disegnare un percorso in cui la tecnologia possa crescere a prescindere dagli incentivi». Serve, quindi, una visione più strategica. Il vero problema, secondo Lorenzoni, è che lo schema del decreto ha rifiutato la sfida di giocare con regole nuove. Che cosa occorre alle fonti rinnovabili e al fotovoltaico in particolare? Innanzi tutto, una maggiore apertura verso i mercati esteri delle nostre aziende, cercando anche gli incentivi più sostanziosi dei mercati emergenti. Investire nel fotovoltaico, ha ricordato Lorenzoni, non significa produrre le celle solari. Su questo punto ha concordato Natalizia: «Non bisogna inseguire una filiera italiana dove non può esserci, come nella produzione di pannelli, che ora rappresenta solo il 30-35% del valore totale di un impianto contro il 70% di pochi anni fa». Sarebbe come pensare che l'Italia possa produrre a basso costo i microchip dei computer, sottraendoli al dominio dell'Asia. Proprio per questo, il Gifi è sempre stato piuttosto scettico sul bonus del 10% per i pannelli "made in Eu". Meglio pensare ad altre vie per promuovere l'industria nazionale. Magari con un'ottica a 360 gradi. Impensabile, ha evidenziato Lorenzoni, lasciare ai margini degli incentivi gli investimenti nelle reti intelligenti, le "smart grid" che dovranno assorbire e distribuire la quota crescente di elettricità proveniente dalle rinnovabili intermittenti. Si dovrà assicurare, inoltre, la priorità del dispacciamento agli impianti alimentati dalle fonti alternative. Infine, ha spiegato Lorenzoni, occorre gestire la decrescita delle centrali tradizionali a gas e carbone, perché con una domanda di energia in calo, se qualcosa deve incrementare la sua potenza installata (le rinnovabili), qualcos'altro la deve diminuire (le fonti fossili). L'Italia ha realizzato impianti a gas per 25.000 MW di capacità, che ora funzionano in media 1.500 ore l'anno contro le 7.000 previste, proprio a causa della domanda troppo scarsa e della convenienza a importare una parte dell'energia elettrica da altri Paesi che la producono a costi inferiori (per esempio la Francia col nucleare). Che fare? Magari mettere gli impianti in naftalina, come ha suggerito Lorenzoni, pagando gli enormi interessi sul debito accumulato con le banche per costruirli e sperando che tra qualche anno potranno essere utili. Si torna così alla necessità di una strategia energetica di ampio respiro, che all'Italia continua a mancare. La lobby del solare è sempre preoccupata per la sorte delle sue aziende, paventando chiusure di stabilimenti, posti di lavoro a rischio, mercato in flessione. La partita, però, va giocata nell'ottica del mix complessivo delle fonti e i decreti del Governo dovrebbero considerare con più attenzione tutte queste variabili.

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