Visualizzazioni totali

mercoledì 2 maggio 2012

L'Ifi vuole più tutela per la filiera italiana nel nuovo Conto energia

La riforma del Conto energia agita da diverse settimane il mondo del fotovoltaico. Le proteste delle (numerose) associazioni di categoria si sono concentrate soprattutto sul taglio delle tariffe incentivanti e sull'introduzione del Registro per gli impianti sopra i 12 kW. Il Comitato Ifi, che rappresenta i produttori nazionali di celle e moduli, concentra invece le sue critiche soprattutto sul mancato sostegno alla filiera italiana del solare, ormai da tempo in sofferenza per l'aggressiva concorrenza asiatica. Energia24 ne ha parlato con Alessandro Cremonesi (nella foto), presidente del Comitato Ifi.

Quali sono i punti più critici, a vostro giudizio, del nuovo Conto energia?
Occorre innanzitutto sottolineare come, dal nostro punto di vista, in realtà non esisteva la necessità di varare un nuovo regime incentivante. Non bisogna dimenticarsi, infatti, come già il quarto Conto energia prevedesse, a partire dal gennaio 2013, l'introduzione della tariffa onnicomprensiva. Dunque non era necessario mettere in moto tutto questo cambiamento, che comporta grandi difficoltà per il mercato del solare, introducendo in buona sostanza misure che erano in gran parte già previste dal precedente regime di sostegno. Questi cambiamenti normativi continui comportano problemi soprattutto per la filiera industriale, perché i nostri investimenti devono essere fatti con almeno una prospettiva di medio termine.

Quali sono, secondo voi, le modifiche più importanti da inserire nello schema proposto dal Governo?
Noi chiediamo che nel quinto Conto energia sia ripristinata la premialità per la produzione della filiera europea. Ad oggi ci troviamo con la concorrenza asiatica che, grazie a regole di partenza completamente diverse dalle nostre, riesce a essere più competitiva. O meglio, si può parlare di vero e proprio dumping. Il prezzo attuale dei moduli asiatici non è, infatti, quello reale di mercato. Nel momento in cui queste aziende ricevono un contributo a fondo perduto dal Governo cinese semplicemente in quanto imprese esportatrici, è chiaro che si turba la competizione sul mercato globale. In più, secondo un rapporto Forbes, questi produttori hanno ricevuto finanziamenti statali a tasso agevolato per circa 35 miliardi di dollari nel 2011.

Quali sono le ricadute di questa "concorrenza sleale" per la filiera industriale nazionale?
L'industria italiana ha una capacità produttiva che si aggira sui 1,3-1,5 GW annui, eppure nel 2011 sono stati installati sul territorio nazionale soltanto 500 MW di moduli made in Italy, a fronte di quasi 6 GW complessivi di nuova potenza fotovoltaica. Se dunque anche lo scorso anno, che è stato uno dei migliori per il solare, non siamo riusciti a far viaggiare le nostre linee produttive neppure al 50%, è chiaro che c'è un grande problema. Tra l'altro, per questo motivo, non abbiamo potuto fare le economie di scala previste dai business plan. Quello che auspichiamo è che il sacrificio che stiamo chiedendo agli italiani con gli incentivi non vada a esclusivo beneficio di una filiera che sta dall'altra parte del mondo ma, al contrario, abbia delle ricadute interne.

Eppure della premialità per il made in Europe prevista dal quarto Conto energia hanno approfittato anche numerosi costruttori asiatici, che magari si sono limitati ad assemblare sul suolo europeo i propri moduli. Come si può evitare di ripetere questa situazione?
Se si consente a una società cinese di beneficiare del made in Europe evidentemente c'è qualcosa che non quadra. Nella fase di elaborazione del quarto Conto energia avevamo fortemente richiesto l'introduzione della premialità per il made in Europe, ma nelle regole applicative è stato inserito all'ultimo minuto un comma vincolante, che ha permesso questo paradosso. È come se un'azienda automotive che ha gli impianti in Corea ma fabbrica il cruscotto in Germania fosse riconosciuta come europea. In realtà basterebbe applicare le leggi doganali, che chiariscono molto bene quando si ha diritto di utilizzare il marchio CE. Il punto fondamentale è riuscire a dimostrare che la trasformazione sostanziale del prodotto finito avviene nel vecchio Continente. La norma del quarto Conto energia, dunque, andrebbe senz'altro riformulata nel nuovo sistema di incentivazione.

I produttori americani del fotovoltaico si sono appellati al Wto contro la concorrenza cinese. Anche quelli italiani potrebbero fare qualcosa del genere?
È una possibilità che stiamo valutando insieme alle altre associazioni dei produttori europei. L'idea di introdurre dei dazi contro le importazioni cinesi, d'altronde, non è un'utopia: i ceramisti, prima di noi, hanno ottenuto delle misure in tal senso, così come l'industria della carta. In un mercato globale le regole di partenza devono essere uguali per tutti. Il caso di Q-cells è emblematico: fino a tre anni fa questa società era il più grande produttore di celle fotovoltaiche al mondo, ora i suoi dirigenti sono stati costretti a portare i libri in tribunale. Tutto questo perché non si sono correttamente difesi dall'azione predatoria da parte dei concorrenti cinesi.

Cosa vi aspettate, dunque, dalla versione definitiva del quinto Conto energia?
Innanzitutto le correzioni di cui abbiamo parlato, che devono essere fatte subito perché il mercato attualmente è fermo. Tutti sostengono che occorre salvaguardare la filiera nazionale del solare ma è necessario anche che ci dicano come. Con lo schema predisposto dal Governo, al contrario, il nostro comparto rischia la chiusura. Io mi auguro che queste modifiche siano introdotte nelle prossime settimane, altrimenti non potremo competere contro la concorrenza asiatica. La maggioranza dei nostri associati ha già avviato le procedure per la cassa integrazione: ci sono già più di mille dipendenti delle aziende italiane del solare in queste condizioni.

Nessun commento:

Posta un commento